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I PESCI RISCHIANO LA SORDITÀ

CO2 e inquinamento acustico, i pesci rischiano la sordità

Negli oceani, i pesci e in particolar modo i Pesci Pagliaccio, sono in pericolo a causa dell’alta concentrazione di anidride carbonica presente negli oceani. È questa la conclusione a cui è arrivata una ricerca portata avanti dagli studiosi dell’Università di Bristol.

Hanno preso in considerazione il livello di acidità delle acque marine, sostenendo che il pH acido delle acque degli oceani potrebbe far diventare questi pesci sordi e incapaci quindi di percepire la presenza dei predatori. Ricreando in laboratorio determinate condizioni di acidificazione delle acque, i ricercatori hanno raccolto dati significativi, spiegando anche il disorientamento dei pesci, probabilmente causato dall’inquinamento acustico.

Muto o sordo come un pesce?

Siamo abituati al detto “muto come un pesce”, ma è proprio così? Nel nostro Mediterraneo si conoscono oltre cento specie di pesci che si scambiano continuamente informazioni, si orientano e lanciano i loro messaggi d’amore chiacchierando tra loro.

Quella che invece non è più realtà, è che nelle profondità marine regni il silenzio. Infatti, abbiamo pensato noi umani a sovrastare il semplice “chiacchiericcio” dei pesci con le nostre rumorosissime imbarcazioni.

“Abbiamo scoperto che il rumore prodotto da una normale imbarcazione da diporto può rendere sordi i pesci” spiega la biologa Marta Picciulin. “Questo fenomeno può compromettere la fecondazione delle uova, dunque la stessa sopravvivenza delle specie che attirano i partner emettendo suoni”In acqua, infatti, il suono viaggia cinque volte più rapidamente che nell’aria, con una velocità di circa 1.500 metri al secondo e, dato che c’è anche una minore dispersione, i suoni raggiungono distanze maggiori.

Uno studio condotto nell’ambito del progetto “Sordo come un pesce” dell’università di Trieste e di Vienna, in collaborazione con la Riserva marina WWF di Miramare, hanno dimostrato i terribili effetti negativi dell’inquinamento acustico nel mare. I ricercatori hanno usato degli idrofoni, cioè microfoni progettati proprio per funzionare sott’acqua. Queste orecchie elettroniche permettono di registrare le onde sonore e rilevare i diversi livelli di rumore.

Il rispetto per la biodiversità

Le ricerche hanno dimostrato quanto l’uomo produca rumori ben più forti di quelli naturalmente creati per la comunicazione tra pesci, rendendoli incomprensibili e che le traversate di innumerevoli navi hanno eliminato le zone di silenzio e ormai, nemmeno quelle protette possono garantire un riparo dall’inquinamento acustico.

 “Oltre ai danni al sistema uditivo e all’interruzione dei canali relazionali all’interno di una specie, il rumore genera una serie di altri effetti negativi, come la fuga di alcuni pesci dal loro habitat originario, il cambiamento delle rotte migratorie, problemi di navigazione, di alimentazione ed anche stress” spiega Marta Picciulin.

L’equipe triestina è tra le poche al mondo ad aver affrontato lo studio dell’inquinamento acustico nel mare ma, anche di fronte ai chiari effetti inquinanti dimostrati, gli scienziati ritengono ancora possibile la convivenza tra barche e pesci. “Il nostro lavoro – spiega la biologa – serve anche per sensibilizzare i naviganti, incentivandoli a usare motori silenziosi, di ultima generazione, evitare bruschi cambi di direzione, ridurre la velocità, ecc”.

Riusciremo mai a capire quanto sia importante per la nostra sopravvivenza avere un Pianeta che rispetti le biodiversità?

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